TEL AVIV – Israele

14732394_1216022658490335_2309310623738521756_n-2-2

Aereo – h 16.22 – Sorvolando il Negev
Da quassù, le colline paiono piccoli cumuli di sabbia edificati dall’uomo e appoggiati temporaneamente lì, sul piatto terreno, e non ci pensi che è proprio Terra Gea, quella vecchia megera rugosa, screziata e scrostata com’è, ad aver eruttato tutte quelle curve e quelle punte.

Aereoporto – h 17.00
Un’afa calda mi spinge in avanti. Fuori dall’aeroporto una schiera di palme, ritte e composte ma con la chioma scapigliata, come ex-soldatini in congedo, ci fanno da guida fino al centro città.

Tel Aviv – h 18.00
Mi guardo attorno. Occhi scuri e aguzzi, visi abbronzati, barbe incolte.
Sembra che le ore del giorno litighino tra loro per prendere il posto: alla mia sinistra, l’ultimo sole si congeda e si lascia scivolare oltre l’orizzonte; alla mia destra, la notte copre i tetti; sopra di me, la prima stella buca il cielo ancora bianco. Se avessi una vista d’acquila, non mi stupirei di vedere all’orizzonte, già vestita e pronta per uscire, l’alba dell’indomani.

Centro città – h 20.15
Giacché il piano terra non è adito all’abitazione, tutti i palazzi della città sono circondati da porticati tanto bassi che un tedesco ci batterebbe la testa facilmente. Ci sono tanti gatti neri ad attraversare la strada che un superstizioso non metterebbe l’alluce fuori di casa.
Essendo shabbat, la città è tappata in un insolito silenzio, un vago senso di vuoto.

Porto – h 20.39
Mi appoggio alla ringhiera a guardare il mare. Il legno è molle, bagnato e stressato dalla salsedine. Il rumore delle onde echeggia nel casto silenzio dello shabbat. Mi arriva un forte odore di griglia e di fritto: mi ricordo ora che non mangio da 13 ore.

PINETA

image

OGIGIA

Un morbido tappeto di aghi secchi e terra, dipinto dai chicchi lillà della lavanda, si sbriciola tra le mie dita dei piedi come crosta di pane.
L’odore pungente del pelo d’asino e del muschio invade le narici del cuore e mi àncora all’eterna memoria di una natura interiore.
Mi arrampico sui rami per rubare i fichi e le carrube, con una mezzaluna felice sul viso e noncurante del cipresso che mi fissa con disappunto dalla sua veneranda altezza.
Tra i pini marittimi stride il grido di guerra delle cicale, ritmico concerto di maracas e sonagli, e ai loro piedi ruzzolano pigne e leprotti selvatici.
Nemmeno gli ulivi mancano all’appello: i loro tronchi nodosi si sporgono tra le pale dei cactus e l’àloe vera. Dalle crepe della loro corteccia colano perle di resina, e fra le radici inciampano pietre spaccate dal sole, cozzando con un rumore di bottiglia. Le lisce venature del tronco, fiamme di un fuoco più grande, danzano in cerchi concentrici come curve di donne burrose.
Ansimante e voglioso, il sole fruga fra le pieghe del mio corpo, e durante l’amplesso brucia la mia pelle come lo schiaffo di un amante sulla natica.
Il mare panciuto, multiforme, mi richiama con le mille punte acute delle sue onde, stelle convesse scolpite dal punteruolo del vento. Onde che si incrociano in piccoli rombi a mo’ di rete da pesca, e alzano il becco simili a rondinini pigolanti in un nido blu cobalto.

Bacio

image“Bacio, la parola è dolce, la vostra bocca non osa, cosa sarà quando si tradurrà in cosa?”
Nel primo istante, fra incantesimi recitati a fior di labbra, ci sorprende il tepore, un tremito scivola sui fianchi e il cuore bussa nel petto sussurrando: «magia!». Complici, anche gli occhi guardandosi si baciano fra loro. Poi, buio. Si sciolgono i pensieri, tutto diventa percezione, un palpito, carezze invisibili avvolte dal profumo di un corpo, le labbra umide si aprono formando una piccola vocale silenziosa, le lingue si cercano, lente, impetuose, gustano il sapore del fuoco in una danza sensuale, cariche di passioni e di intime fantasie. Le mani, con delicato vigore, esplorano le curve e le forme, si arrampicano sulla schiena e si aggrappano alle spalle; le dita camminano in punta di polpastrelli lungo il collo, accarezzano il mento, arruffano i capelli. Flussi di desiderio liquido, de-si-de-rio, misteri passano di bocca in bocca, lampi, onde d’oceano, labbra. Lentamente si allontanano, labbra, ansimanti si salutano. Il volto ricerca un’espressione posata, ma il respiro affannato lo tradisce, le emozioni gli restano impigliate alle sopracciglia, nelle pupille resta l’eco di un fuoco d’artificio, l’ultimo guizzo di una candela, l’odore della stoppa bruciata e della cera sciolta ancora calda. Le anime, cambiate da un incontro ardente, ritornano fra gli uomini che non si voltano e vanno zitte con il loro segreto: forse, chissà, s’incontreranno ancora.

 

*omaggio a Rostrand, Cyrano de Bergerac

*omaggio a Montale, Forse un mattino andando in un’aria di vetro

*la statua è “il Bacio” di Rodin